2 novembre: quando il ricordo diventa rito

2 novembre: quando il ricordo diventa rito

di Francesca Biavardi

 

Il 2 novembre non è semplicemente una data sul calendario. È un momento di connessione profonda tra il mondo dei vivi e quello dei defunti, un ponte fatto di memoria, rispetto e amore.

Il giorno di Commemorazione dei Defunti è un rito collettivo che attraversa culture e generazioni, un momento in cui la comunità si riunisce per onorare coloro che non sono più fisicamente con noi.

Ho scoperto che ci sono usi particolari per ricordare i defunti a seconda del luogo geografico in cui si vive:
– in Lombardia tra la notte del 1 e del 2 novembre viene posto in cucina un vaso di acqua per far dissetare i morti
– in Friuli viene lasciato un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane
– in Piemonte viene lasciata la tavola apparecchiata e il focolare acceso mentre vengono fatte suonare le campane per richiamare i morti
– in Abruzzo si lasciano tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care passate oltre la soglia
– in Sicilia la tradizione coinvolge i bambini che, se hanno fatto i buoni, riceveranno doni dai morti che troveranno nascosti sotto il letto

Dietro questi riti c’è qualcosa di più profondo: il bisogno umano di elaborare il distacco, di mantenere una connessione con chi non c’è più.

Il mio personale viaggio nel lutto
Per la mia famiglia, nel Giorno dei Morti, si andava tutti insieme a pregare sulle tombe dei nostri cari. Da bambina lo chiamavo il CimiTour perché dovevamo fare visita in poco tempo a tanti cimiteri, rispettando gli orari delle funzioni. Era una corsa contro il tempo emozionante. Era poi una di quelle poche occasioni in cui ci si ritrovava con amici e parenti che non si vedevano da tempo.

Oggi, da adulta e dopo aver vissuto la morte improvvisa di Anna, mia nipote, ho cambiato modo di vivere questa giornata: non amo più fare le corse ai cimiteri, ma visitarli con calma, soffermandomi sui miei cari, ma anche su chi è sepolto nello stesso luogo.
Con mio figlio, abbiamo scoperto tombe che accolgono le spoglie di persone vissute nel 1800. Non le avevamo mai notate nella fretta delle visite degli anni scorsi. Ci siamo presi il tempo di osservarne le foto, di decifrare i nomi ormai consumati, incisi sulla lapide, di leggere un elogio funebre sbiadito, di osservare le sculture poste a decorazione di quelle lapidi.

Ci siamo presi il tempo di osservare chi c’era intorno ai nostri cari, di immaginare chi potessero essere quelle persone e, a modo nostro, di tenerne vivo il loro ricordo.
Siamo sempre tanto travolti dal fare, che ci dimentichiamo di soffermarci a osservare.

Si, anche mio figlio Simone viene a fare visita ai cimiteri. Ho scelto di coinvolgerlo sempre quando si parla di lutto, 6 anni fa, quando è morta mia nipote, sua cugina.
Il mio modo di vivere il Giorno dei Morti è cambiato il 21 Ottobre 2018, quando mia nipote Anna muore in un incidente stradale.
Io, maniaca del controllo, non avevo previsto di poter vivere un evento del genere e disperazione, rabbia, senso di colpa, impotenza, si sono accomodate in me in modo prepotente, senza tanti convenevoli.  Mi sentivo paralizzata, incredula, incapace di capire perchè a lei e non a me. Aveva 16 anni, una vita davanti ricca di esperienze, lotte per i suoi ideali, passioni, errori e scoperte.

La mia convinzione “Si muore da vecchi” era stata completamente stravolta.
Sono andata in frantumi. Quello che stavo vivendo era innaturale e inaccettabile.

In più vivevo con l’assoluta determinazione a voler proteggere mio figlio da tutto quel dolore: Simone aveva 5 anni…

E’ stato un periodo buio nel quale alternavo momenti in cui ero fredda e distaccata, ad altri in cui ero persa, disorientata, incapace di capire se ero più arrabbiata, disperata o disarmata.

Il valore più grande di quei giorni sono state le persone, conosciute o sconosciute, vicine o lontane, presenti o assenti nella mia vita, TUTTE, insieme, hanno circondato me e la mia famiglia di un affetto forte, saldo che ci ha permesso di sopravvivere.

A distanza di un anno da quella tragedia, ho capito che volevo contribuire a togliere quel velo di tabù che ricopre il tema del lutto; volevo aiutare le persone a confrontarsi e piangere il loro dolore senza pudore e a sentirsi più pronte nell’affrontare questo argomento con i bambini.

Ho iniziato così a studiare, approfondire e a occuparmi di Death Education. Volevo parlare di lutto perché se facciamo amicizia con la nostra finitezza e ci confrontiamo su quello che questa consapevolezza genera in mente e cuore, saremo capaci di vivere ogni sfumatura della vita, bianca o nera, ombrosa o lucente, cupa o colorata.

Se sono qui oggi a parlarti di lutto è grazie ad Anna che mi ha insegnato che è importante Educare alla morte per imparare la vita.

No, non è facile, ma ho un debito con mia nipote: io sono qui e ho il dovere di onorare la vita e di sostenere chi non ha ancora fatto amicizia con il dolore della perdita, con il vuoto che lascia chi se ne va.

Voglio essere un modello di dialogo aperto e sincero sul tema della morte. Osservando me, mio figlio comprenderà che possiamo parlare anche di un tema così difficile e sarà più propenso a confrontarsi su quello che prova. Ecco perché viene nei cimiteri. Scabroso? No, semplicemente un bagno di realtà!
La morte ci spaventa perché è definitiva, ma quello che voglio insegnare a Simone è che se coltiviamo il ricordo, tramandiamo i nostri valori e le nostre tradizioni, non moriremo mai veramente.
Penso sia importante avere un luogo fisico nel quale ritrovare chi abbiamo amato e non c’è più e vivere questi luoghi con i nostri figli, per lasciargli in eredità quei piccoli riti che gli permetteranno di colmare un poco il senso di mancanza che sentiranno quando non ci saremo più nel corpo.
Credo poi fondamentale che il ricordo venga coltivato nella quotidianità, nei piccoli gesti e pensieri che ci accompagnano durante le nostre giornate.

Le storie come ponte tra dolore e guarigione
Nel mio percorso di elaborazione del lutto, ho scoperto che non solo i luoghi fisici, ma anche le storie possono diventare ponti preziosi tra noi e chi non c’è più. I libri, in particolare, possono trasformarsi in spazi sicuri dove esplorare il nostro dolore, trovare conforto e dare voce a emozioni che spesso sembrano inesprimibili.

Con mio figlio, proprio come esploriamo le storie nascoste nelle lapidi del cimitero, abbiamo iniziato a esplorare storie scritte nelle pagine dei libri. Storie che parlano di perdita, di amore che supera il tempo, di ricordi che diventano tesori. Ci siamo presi il tempo di leggere insieme, di fermarci sulle parole che ci toccavano il cuore, di parlare di ciò che quelle parole smuovevano dentro di noi.

Il potere curativo delle parole
Le parole possono diventare piccole luci di speranza. A volte sono parole di altri che hanno attraversato lo stesso dolore che ho vissuto io, altre volte sono storie di personaggi tra le pagine, che vivono perdite simili alla mia. Ogni pagina letta diventa uno specchio dove riconoscere il proprio dolore e, allo stesso tempo, intravedere la possibilità di andare avanti.

Ecco perché ho scelto di utilizzare i libri come strumenti di trasformazione del forte dolore legato alla perdita, all’interno dei miei percorsi di Libroterapia per adulti e nei laboratori per bambini.
Ed è per lo stesso motivo che ti suggerisco nel mio sito e nel mio Podcast titoli di libri utili ad affrontare il tema del lutto da un nuovo punto di vista, a trasportarti verso il cambiamento e la conoscenza di te, del tuo dolore dolore, ma anche dei valori e degli strumenti che possiedi e che ti aiutano a tornare a sperare dopo un lutto.
Le storie ci permettono di:
– affrontare il tema della morte in modo delicato ma onesto anche con i bambini
– dare un nome alle emozioni difficili
– trovare conforto nelle esperienze di altri
– creare momenti di dialogo sicuri e protetti
– mantenere viva la memoria di chi non c’è più
– creare spazi di dialogo sicuri con i nostri bambini
– trovare parole quando le nostre sembrano insufficienti
– costruire ponti tra il mondo del “prima” e del “dopo”
Il 2 novembre è un invito a celebrare le storie, le vite, i legami che continuano a vivere attraverso il nostro ricordo. E attraverso le parole che scegliamo di leggere e condividere.

“Ricordare è un atto d’amore che tiene viva l’essenza di chi abbiamo amato, e le storie sono il ponte che ci permette di attraversare il fiume del dolore, un passo alla volta.”

Francesca Biavardi
il mio sito: www.francescabiavardi.it
mi trovi anche su IG e FB come francesca.biavardi
il mio Podcast: Luttoh – Educare alla morte per imparare la vita

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