Accogliere è come respirare

16/03/2022

Accogliere è come respirare

di Simona Perosce

Uno degli aspetti più belli di avere amiche che condividono con te la passione per i libri, è l’opportunità di scoprire pagine che chissà, forse non avresti mai sfogliato

Caterina da quando è in pensione fa la volontaria in una piccola biblioteca di Parma.

È felice di avere finalmente molto tempo a disposizione per dedicarsi ai suoi interessi: leggere, andare a teatro e al cinema, visitare musei, viaggiare.

Grazie a lei è avvenuto il mio incontro con un libro che amo e al quale torno spesso in questi giorni a pensare, per ritrovare la speranza.

Un giorno della scorsa estate mi ha raccontato di aver proposto alla biblioteca di quartiere in cui è volontaria, la creazione di un piccolo gruppo di lettura coordinato da lei. Le ho domandato quale fosse il primo titolo scelto. “Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda” ha risposto.

A distanza di poche settimane ho ricevuto una donazione di libri per la rete di Book Croossing Scambiamente. Mentre li distribuivo, ne ho visto uno con la copertina blu e l’immagine di un ragazzino, in piedi sopra un coccodrillo, vestito di bianco, scalzo, con in mano una valigetta. Leggendo la scritta in alto ho pensato a Caterina: “Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari.” È proprio vero che alcuni libri sono destinati a noi, sanno come farsi scovare e trovano sempre il modo di raggiungerci! Così ho accolto queste nuove pagine che sono venute a cercarmi.

È stata una lettura intensa e toccante. È la storia vera del giovane profugo Enaiatollah, che in fuga da Nava, il suo paese natale in Afghanistan, è miracolosamente arrivato in Italia sano e salvo dopo quello che molti chiamano “il lungo viaggio della speranza”, all’inizio degli anni duemila.

È un romanzo di formazione con la struttura che a tratti è quella del monologo interiore e a tratti quella dell’intervista/chiacchierata tra Enaiat e Fabio Geda. L’autore è riuscito con delicatezza a farsi portare per mano dal ragazzo, passo dopo passo, nei corridoi intrisi di dolore della sua memoria, faticosi da ripercorrere. La narrazione è scorrevole. Le vicende sono raccontate con lo stile semplice di una voce bambina,  infantile e allo stesso tempo consapevole e colma di quella saggezza autentica, non ostentata, di un cuore che ha sofferto ma che non ha mai abbandonato la speranza di costruirsi una vita migliore, lontana dalla violenza e dalla repressione.

“Il fatto, ecco, il fatto è che non me l’aspettavo che lei andasse via davvero. Non è che a dieci anni, addormentandoti la sera, una sera come tante, né più oscura né più stellata, né più silenziosa o puzzolente di altre, con i canti di muezzin, gli stessi di sempre, gli stessi ovunque a chiamare la preghiera dalla punta dei minareti, non è che a dieci anni – e dico dieci tanto per dire, perché non è che so con certezza quando sono nato, non c’è anagrafe o altro nella provincia di Ghazni – dicevo: non è che a dieci anni, anche se tua madre prima di addormentarti, ti ha preso la testa e se l’è stretta al petto per un tempo lungo, più lungo del solito e ha detto: Tre cose non devi mai fare nella vita, Enaiat jan, per nessun motivo.”

Nell’incipit il protagonista racconta le tre regole che sua madre gli ha consegnato come mappa morale da seguire fedelmente durante il suo cammino.

Non drogarti, non usare le armi, non rubare.

Questi tre punti cardinali lo guideranno in questo viaggio e in tutta la sua vita.

“Anche se tua madre dice cose come queste e poi, alzando lo sguardo in direzione della finestra, comincia a parlare di sogni senza smettere di solleticarti il collo, di sogni come la luna, alla cui luce è possibile mangiare, la sera, e di desideri – che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena – be’, anche se tua madre, mentre ti aiuta a dormire, dice tutte queste cose con una voce bassa e strana, che ti riscalda le mani come brace, e riempie il silenzio di parole. Lei che è sempre stata così asciutta e svelta per tenere dietro alla vita, anche in quell’occasione è difficile pensare che ciò che ti sta dicendo sia: Khoda negahdar, addio.”

Enaiat partendo dall’Afghanistan fa diverse tappe prima di raggiungere l’Italia: Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. Sopporta grandi difficoltà e dolori, lavora duro, scappa, si nasconde, cammina con perseveranza e coraggio, gioca, soffre, vede la miseria, assiste alla alla morte di molta gente, ma conosce anche persone gentili, trova amici.

Durante il suo viaggio incontra i trafficanti, sciacalli che si nutrono della disperazione delle migliaia di migranti che scappano dalla propria terra sopraffatta dalla brutalità. Nonostante tutto non perde mai la fiducia in sé stesso e  nell’umanità, anche grazie ad atti di generosità e buon cuore da parte di sconosciuti in cui si imbatte. Continua con caparbietà, pur nelle situazioni più buie, ad alimentare e tenere accesa quella fiammella, quel piccolo fuoco che si porta dentro chiamato speranza.

Oggi Enaiatollah vive a Torino, dove ha studiato e lavora.

In questi giorni più che mai penso a questo libro e a quanto sia attuale: molti profughi di tutto il mondo in fuga dalle dittature e dalle guerre coltivano il sogno di una vita migliore in Europa, viaggiano a piedi e con tutti i mezzi disponibili.

Pochi mesi fa i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan imponendo il proprio regime spietato, in barba ai diritti civili, sotto gli occhi sconcertati e inermi dei media e di tutti noi.

In Ucraina c’è una guerra in corso, l’ennesima che affligge il mondo. Milioni di uomini, donne e bambini ogni giorno abbandonano la propria casa e la propria terra in cerca di salvezza.

Eppure una speranza c’è, fatta di tanti piccoli gesti di gentilezza, empatia, coraggio, generosità, amore, altruismo. Una moltitudine di piccole gocce che tutte insieme possono fare la differenza e diventare un oceano chiamato pace. Enaiat ce lo ha mostrato nel racconto del suo viaggio, ecco perché Nel mare ci sono i coccodrilli è una lettura necessaria, che predispone all’accoglienza e all’ascolto di chi bussa alla nostra porta. Ci dà l’occasione di fare un esercizio importante: quello di mettersi nei panni di chi scappa per salvarsi. Aprire quella porta non è così difficile, non è impossibile.

Accogliere è un atto profondamente umano, naturale come respirare.

“Come si fa a cambiare vita così, Enaiat? Una mattina. Un saluto.

Lo si fa e basta, Fabio. Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare.”