Continuare a piantare il seme della memoria: si può parlare di Shoah ai bambini?
Continuare a piantare il seme della memoria: si può parlare di Shoah ai bambini?
di Simona Perosce
Desidero dedicare il numero di LibrInMente di questo mese all’interno di T-Generation alla “Giornata della memoria”, che ricorre ogni anno il 27 gennaio ed ho deciso di raccontarla ai più piccoli, mostrare proprio ai bambini quale sia il suo significato più profondo da rinnovare sempre, continuando a “piantare il suo seme” per non dimenticare. Mi sono interrogata su quale dei libri letti sull’argomento potesse ricadere la mia scelta e un’immagine che è partita direttamente dalla mia pancia o forse da più su, dal cuore, ha fugato qualsiasi incertezza: L’albero di Anne, di Irene Cohen di Janca, illustrazioni di Maurizio Quarello, traduzione di di Paolo Cesari, casa editrice Orecchio Acerbo.
Le sue radici, il fusto marrone e i suoi rami mi sono restati impressi da quando li ho visti, tre anni fa in questo stesso periodo, per la prima volta sulla copertina del libro che mi consigliò e che prese dallo scaffale, insieme ad altri sul tema, la bibliotecaria alla quale mi ero rivolta per fare una ricerca bibliografica sull’ Olocausto nella letteratura per l’infanzia. Da quel momento mi sono innamorata di questo libro.
Si può parlare di Shoah ai bambini? Per Irene Cohen -Janca e Maurizio Quarello sì ed hanno deciso loro stessi di farlo ne L’albero di Anne, pubblicato dalla casa editrice per l’infanzia “Orecchio acerbo”, un bellissimo albo illustrato che ha come protagonista un ippocastano.
“Nelle città di rumore e polvere io sono quello che per primo annuncia la primavera. In aprile si schiudono le gemme e con lo stesso slancio sbocciano i miei fiori e le mie foglie. Io sono un ippocastano.”
Vi starete chiedendo, cosa avrà mai a che fare un albero con la Shoah? Possiamo intuirlo dal nome “Anne” presente nel titolo, si tratta infatti dell’ippocastano che la piccola Anne Frank vedeva dal lucernario della soffitta di Amsterdam, in Olanda, in cui fu rinchiusa con la sua famiglia il 6 luglio del 1942, rimanendovi per due anni.
Durante questo lento e lungo periodo di esilio forzato la bambina sbirciava tutti i giorni la vita fuori dal suo rifugio, ma l’unica realtà esterna che potesse osservare, facendole compagnia e riuscendo a farle vivere, nonostante la “chiusura”, l’alternarsi delle stagioni grazie ai cambiamenti del suo fogliame, era proprio l’ippocastano del giardino al numero 263 di Prinsengracht, ad Amsterdam.
“Il nostro ippocastano è in piena fioritura dalla testa ai piedi, pieno di foglie e molto più bello dell’anno scorso” e ancora “aprile è proprio un mese splendido, non troppo caldo e non troppo freddo, con pioggia ogni tanto. Il nostro castagno è già verde e qua e là si vede perfino qualche candelina” scrive la tredicenne Anne nel suo diario, ritrovato dopo la sua morte per tifo avvenuta nel lager di Bergen-Belsen e diventato, dopo il ritrovamento, un libro attraverso il quale tutti noi abbiamo conosciuto la storia di questa ragazzina le cui riflessioni danno un significato ancora più profondo e importante alla memoria (se non lo avete ancora letto vi consiglio di farlo: Il diario di Anne Frank).
“La intravedevo appena, dietro il lucernario della soffitta del palazzo di fronte. Curva a scrivere fitto fitto, quando alzava gli occhi il suo sguardo spaziava l’orizzonte. A volte però si fermava sui miei rami, scintillanti di pioggia in autunno, rigogliosi di foglie e fiori in primavera. E vedevo il suo sorriso. Luminoso come uno squarcio di luce e speranza in quegli anni tetri e bui della guerra. Fino a quando, un giorno d’estate, un gruppo di soldati -grandi elmetti e mitra in pugno- la portò via. Per sempre.”
L’albero è ancora lì, anche se a causa di una malattia sarà abbattuto, ma la sua vita non finirà, perché la morte cos’altro è se non una fase del ciclo della vita in cui avviene una trasformazione?
“Dicono che sotto la mia corteccia, insieme con i ricordi, si siano intrufolati funghi e parassiti. E che forse non ce la farò. Sì, sono preoccupato per le mie foglie, per il mio tronco, per le mie radici. Ma i parassiti più pericolosi sono i tarli, i tarli della memoria. Quelli che vorrebbero intaccare, fino a negarlo, il ricordo di Anne Frank.”Per ogni fine c’è sempre un nuovo inizio, può sembrare banale ma è esattamente così e lo vediamo anche attraverso l’alternanza ciclica tra le stagioni. Un piccolo ramo sarà piantato per far rinascere l’ippocastano affinché la memoria di ciò di cui è stato testimone resti all’interno di ogni sua particella ed anche un po’ dello sguardo pieno di amore che ha ricevuto dal luglio 1942 al 1944 da parte di una bambina di nome Anne che non perse mai la speranza nella rinascita di un mondo migliore.
Un libro poetico, pervaso da grazia e delicatezza nel testo e nelle immagini, che consiglio a bambini della scuola primaria accompagnati in questa lettura da adulti attenti e sensibili che siano in grado di far loro esplorare con consapevolezza questa storia, accogliendo le loro emozioni e la loro voglia di conoscere e capire, perché come dice Liliana Segre: “La memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza”.