Babysitter

Babysitter

di Joyce Carol Oates

recensione a cura di Simona Perosce

 

“Perchè lui l’aveva toccata. Solo il polso.

Un fruscio delle dita. Uno sguardo obliquo.

Perché lui le aveva chiesto Quale sei tu? Intendendo La moglie di chi?

Perché era un’epoca e un posto in cui, per essere una donna (o almeno, una donna del suo aspetto) – dovevi essere la moglie di un uomo.”

Non è l’incipit di Anna Karenina e neanche quello di Madame Bovary. L’ elegante ed attraente donna che si lascia toccare il polso da un misterioso sconosciuto durante una cena benefica è Hannah, protagonista femminile di Babysitter, l’ultima fatica letteraria di Joyce Carol Oates, pubblicata in Italia dalla casa editrice La nave di Teseo.

Siamo a Detroit, in Michigan, la celebre “Motor city” nordamericana, tra il 1976 e il 1977. Hannah è una casalinga di trentanove anni, moglie di Wes Jarrett, un ricco uomo d’affari con cui ha due bellissimi figli, Conor e Katya, accuditi dalla governante filippina Ismealda. Una famiglia perfetta da sfoggiare come una bella collana di perle al collo di una donna aristocratica. I Jarrett sono una delle tante famiglie bianche che vivono a Far Hills, quartiere residenziale della ricca borghesia di Detroit, la cui quiete è sconvolta da una serie di terribili omicidi di ragazzini tra i dieci e i dodici anni, rapiti e uccisi dopo aver subito sevizie e torture ad opera di un serial killer. La stampa lo ha ribattezzato Babysitter a causa della cura con cui ripone, abbandonandoli in luoghi pubblici, i corpi nudi e senza vita delle sue vittime, accanto ai quali dispone gli abiti indossati dai piccoli prima di morire, scrupolosamente lavati e stirati. Intorno a questo terribile fatto di cronaca nera, irrisolto nella vita reale, Joyce Carol Oates costruisce un romanzo ricco di suspence dalle tinte noir che tiene incollati alle sue pagine dall’inizio alla fine ed è una lenta discesa negli abissi più profondi e torbidi della società americana e dell’animo umano. “Non è oro tutto ciò che luccica” recita un detto e sembra quasi di sentirselo sussurrare all’orecchio, leggendo i brani in cui l’autrice ci mostra le eleganti ville in cui vivono le benestanti famiglie rigorosamente patriarcali residenti a Far Hills, gli abiti firmati di fattura pregiata che le mogli annoiate dei ricchi uomini d’affari sfoggiano e le conversazioni piatte in cui si intrattengono. Hannah, una indolente Emma Bovary degli anni settanta, è una di loro e possiamo seguirne tutti i moti interiori che ne determinano le azioni adulterine, come l’attrazione irresistibile che prova per il misterioso YK dal momento in cui lui con la sua mano le afferra il polso. Da quell’istante prende le mosse una relazione in cui l’uomo la domina ed esercita su di lei la più feroce forma di possesso psicologico e sessuale. Dominio, seppur in forma diversa, che YK ha anche su Mickey, giovane disadattato cresciuto in un istituto di accoglienza ecclesiastico, al quale impartisce ordini in modo freddo, autoritario e senza spazi di replica. Tristezza e solitudine spingono entrambi ad evadere dalle loro vite fino a stordirsi. Questi stati d’animo affondano le radici nel loro passato e i mostri di allora si ripresentano oggi popolando i loro incubi.

“Siete voi gli artefici della vostra fortuna. Non vi viene mica servita in un piatto d’argento, figlioli. Papà Pagliaccio ride, fa l’occhiolino. La sua voce una carezza raggelante come il ghiaccio che si scioglie in un rivolo dentro i tuoi abiti, dove nessuno può vedere” (Hannah).

“Figliolo, sei al sicuro qui. Sei al sicuro con me.” (Padre McKenzie a Mickey).

La manipolazione della fragilità, vera protagonista del romanzo, sedimentata in una cultura sessista e razzista, è il filo rosso che unisce lo spietato YK alla donna e al ragazzo. Le vicende si dipanano con una crescente tensione psicologica che attanaglia le menti e le vite di Hannah e di Mickey, passando dalla depressione all’angoscia, dall’eccitazione euforica al terrore, dallo smarrimento alla ribellione. È una danza a tre in una sala da ballo vuota, o forse piena di sguardi indifferenti come quello di Wes verso sua moglie, più attento a proteggere il proprio ruolo maschile di patriarca della famiglia, la classe sociale alla quale appartiene e a mantenere alto l’odio razziale per i neri; sguardi deviati e omicidi come quello di Babysitter o omertosi e complici come quello di padre McKenzie.

“C’è solo una domanda: di che cosa sono capace?”

A porsela è Hannah? YK? Mickey? O forse è colei che ha tessuto le trame di questa storia?

È una Joyce Carol Oates in ottima forma quella che ci rivela ancora una volta le ombre della società americana, con uno sguardo lucido che non risparmia i particolari più scabrosi e lo fa  con una narrazione magnificamente unpolitically correct.

 

Romanzo: Babysitter

Autrice: Joyce Carol Oates

Casa Editrice: La nave di Teseo

Pagine: 529

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La lepre e la luna

La lepre e la luna

di Mario Ferraguti

recensione a cura di Simona Perosce

 

I librai itineranti di Parana, Mulazzo e Montereggio hanno compiuto un miracolo. Vendere libri, da analfabeti, a pastori e contadini analfabeti solo col fascino e la potenza della parola. Utilizzare il racconto, la cultura orale, per approdare, in modo inconsapevole, al testo scritto, alla letteratura colta come antichi demoni traghettatori capaci di frequentare mondi differenti ma con l’inconsapevolezza fragile dell’istrione più che con la sicurezza della divinità. Chissà come sarà cominciato tutto, chi sarà stato il primo.”

Un viaggio quello che Mario Ferraguti, zaino in spalla ed un quaderno degli appunti al suo interno come unico bagaglio, compie e ci racconta ne La lepre e la luna, il suo ultimo romanzo pubblicato dalla casa editrice indipendente Exòrma, nel mondo misterioso e magico delle guaritrici d’Appennino, per conoscere la pratica della “segnatura”.

Mentre viaggio mi vorrei fermare in ogni paese, a ogni gruppo di case per chiedere.”

Il racconto si srotola come il filo di un gomitolo che l’autore non può fare a meno di inseguire, arrivando nei paesini di montagna più remoti, nelle umili dimore delle donne che curano i mali segnandoli, ascoltando le loro storie, fra gli utensili delle loro cucine riscaldate solo dalle stufe in cui arde la legna che, può capitare, i malati recatisi lì per essere curati, portino loro in dono.

“Inizio a intravedere un mondo, la sua trama nascosta, le ultime testimonianze preziose di un modo di usare le parole e prendersi cura che implica un altro rapporto con l’intero universo; con gli uomini, i mali, le forze e le cose.”

Quella che Ferraguti esplora è una terra di mezzo fatta di formule e riti antichi, potenti, a metà tra religione e magia, che si ripetono tre volte al tramonto e si tramandano oralmente di donna in donna, invocando i santi e incantando i mali per convincerli a tornarsene da dove sono arrivati, come se si trattasse di forestieri, ospiti sgraditi da accompagnare fuori dal corpo che abitiamo, ponendo attenzione a non offenderli né indispettirli.

“Chi sa fare sa anche disfare”. L’abilità più importante di queste donne è saper percepire, capire, riuscire a leggere la trama dei fili che legano tutto l’universo e laddove ci sono nodi, scioglierli, con ritualità, restando in costante connessione con la natura, con tutte le sue creature e i suoi elementi. La segnatura ha due facce, è una benedizione ed una maledizione per chi la riceve in dono, è la virtù che consente di curare chi soffre ma è anche una condanna, perché obbliga ad essere in perpetuo contatto con il dolore. Giunge da lontano, da un sapere femminile antico, come pratica di intermediazione tra due dimensioni che fa uso di gesti e di parole da custodire, da preservare nella memoria e da tramandare, lasciare in eredità, parole preziose bisbigliate tra i denti che scorrono libere come acqua e lavano, guariscono, si prendono cura di chi soffre, a differenza della medicina moderna che le deforma, le complica, le rarefà fino a farle scomparire, smarrire, diventando un fiume ormai asciutto, sulle cui sponde non ci si può fermare neanche più a piangere perché non c’è tempo. La lentezza ormai è un ritmo che in città non esiste più, lo troviamo solo sui monti, finché resiste, tra uomini e donne le cui vite sono scandite dal sorgere e dal calare del sole, dalle fasi lunari e che conoscono il significato, l’essenza più profonda della parola cura.

Mario Ferraguti, autore prolifico, esploratore e conoscitore dell’Appennino tosco-emiliano, è il depositario delle storie delle guaritrici di quei luoghi, donne anziane che gli hanno rivelato i propri segreti, mostrandogli ciò che non si spiega, ma che si fa e basta, e lui ce le racconta in un libro che ha la profondità documentaristica dell’ indagine antropologica (tra le pagine troviamo fotografie e citazioni delle formule originali) e la bellezza e il fascino letterario del diario di viaggio.

 

Libro: La lepre e la luna – Sulle tracce delle guaritrici d’Appennino

Autore: Mario Ferraguti

Casa editrice: Exòrma

Pagine: 230

Euro 16,50

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Oliva Denaro

Oliva Denaro

di Viola Ardone

recensione a cura di Federica Merli

 

Al posto delle tabelline e dei verbi irregolari avrebbero dovuto insegnarci a dire di no, tanto il sì le femmine lo imparano dalla nascita

Siamo nel 1960, in un paesino della Sicilia, Marturana, Oliva è una giovane ragazza di appena quindici anni, sogna di diventare, un giorno, una maestra.

Oliva ha un fratello gemello, Cosimo, e una sorella più grande, andata già in sposa; ha un rapporto conflittuale con la madre, una donna dura, che detta regole, che le ha sempre insegnato che “la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia”. E poi c’è suo padre, un uomo dolce, silenzioso, mite, con il quale Oliva ha un rapporto di intima comprensione, di tacita complicità.

Oliva diviene presto oggetto di desiderio e di possesso del figlio del boss del paese, un ragazzo  che  la vuole a tutti i costi, potrebbe avere tutte le ragazze del paese, ma vuole proprio lei…e se la va a prendere. La fa rapire, la violenta, e pretende, così, il matrimonio riparatore.

Oliva, che viene additata come la svergognata perchè ha perso la verginità, trova  però, il coraggio di opporsi a quel matrimonio riparatore e decide di denunciare quella violenza sessuale…decide di dire no, decide di scegliere.

In una società e in un ambiente in cui  la vittima di uno stupro è più colpevole del suo stupratore, sarà proprio il padre di Oliva, quell’uomo taciturno, mite, silenzioso,ad ignorare i luoghi comuni di quella mentalità,è proprio lui, uomo e padre, a sostenere la scelta e la decisione della figlia, “Questo faccio io, se tu inciampi, io ti sorreggo”.

E’ proprio la posizione del padre a far cambiare anche l’atteggiamento della madre di Oliva, lei, sempre così dura e rigida con la figlia, finalmente  comprende la tragedia che ha vissuto la sua bambina.

 

C’è la denuncia, il processo, l’umiliazione di dover provare la propria innocenza di donna violata  e assistere ad una condanna ad una pena mite.

Perché per noi è difficile? Perché abbiamo bisogno di battaglie, di petizioni, di manifestazioni? Di bruciare reggiseni, di mostrare le mutande, di implorare di essere credute, di controllare la misura delle gonne, il colore del rossetto, la larghezza dei sorrisi, l’impellenza dei desideri? Che colpa ne ho io, se sono nata femmina?”

Oliva riprende gli studi, va dritta per la sua strada, realizza il suo sogno, diventa insegnante e rimane a vivere nel suo paese… perché lei non ha nulla di cui vergognarsi!

C’è una storia vera nella storia di Oliva: Oliva rende omaggio a Franca Viola, la ragazzina di Alcamo che nel 1965 non aveva voluto sposare il boss del suo paese, nonostante il sequestro e le violenze subite. Tutto era legalizzato da norme che sono state abrogate solo nel 1981.

Il matrimonio riparatore era previsto nel Codice Penale del nostro ordinamento giudiziario ed era regolamentato dall’art. 544

Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo e, e vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.

Franca Viola, nel 1965, in Tribunale pronunciava queste parole: 

“Io non sono proprietà di nessuno, l’onore lo perde chi fa certe cose e non chi le subisce”

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il negozio in Blossom Street

il negozio in Blossom Street

recensione a cura di Federica Merli

 

“Nelle mani di una donna che lavora a maglia, il filato diventa il mezzo che unisce cuore e anima” (Robin Villiers-Furze, The Needleworks Company)

 

C’è un piccolo negozio di filati in Blossom Street, a Seattle, “L’Intreccio”. E’ di proprietà di Lydia e rappresenta l’inizio della sua nuova vita. Lydia, infatti, è sopravvissuta al cancro per ben due volte e, dopo la morte di suo padre, decide di buttarsi in questa folle impresa: aprire un negozio di filati e dare lezioni di maglia.

Nei lunghi anni trascorsi a combattere contro il cancro, il lavoro a maglia è stato terapeutico, l’ha aiutata a superare i momenti emotivamente più difficili: “Il cancro fa parte di me. Oggi sono in remissione, ma non posso sapere se sarà ancora così domani o la settimana prossima. Ho vissuto in una specie di limbo per la maggior parte della mia giovinezza, però ho superato questa fase ora (…) Non sono stati solo i dottori, le medicine o la chirurgia a salvarmi (…) Mio padre non mi permise di rinunciare, e quando scoprii il lavoro a maglia, mi sentii come se avessi trovato il santo Graal perché era qualcosa che potevo fare. Potevo sferruzzare sdraiata a letto se era necessario. Era un modo di provare che ero qualcosa di più che una vittima”.

Lydia riparte da qui, da fili nuovi da intrecciare ma farà molto di più: trasmetterà questa passione ad altri, insegnerà maglieria per principianti e la prima lezione sarà una copertina per neonato.

Le sue prime allieve  non potevano essere più diverse tra loro: Jacqueline Donovan, borghese di mezza età, sta per diventare nonna, ma non sopporta che suo figlio si sia sposato con una donna che non ritiene alla sua altezza,  vuole realizzare qualcosa di maglia per la sua nipotina, una copertina che si rivelerà un gesto di  riconciliazione con la nuora;  Carol Girard dolce giovane donna, da anni alla ricerca di quel bambino che non vuole arrivare, si imbatte nel negozio di Lydia e legge nel progetto di una copertina per neonato  un messaggio di speranza per il suo ultimo tentativo di concepire; Alix Townsend, una ragazza di vent’anni, ribelle per necessità e messa alla prova da una vita difficile fin da bambina, ora in libertà vigilata che si iscrive al corso di Lydia per impiegare le ore di servizio per la comunità imposte dal tribunale.

Pagina dopo pagina la vita di queste quattro donne, le loro storie si intrecceranno come la trama del lavoro a maglia, scopriranno se stesse, il senso dell’amicizia e qualcosa in più per ripartire da zero.

“Una delle cose che mi piace di più del lavoro a maglia è farlo insieme ad altre persone. Ogni volta che incontro qualcuno a cui piace lavorare a maglia, di solito una donna, ma non necessariamente, è come ritrovare un’amicizia perduta. Non importa se fino a poco prima eravamo due estranee, perché abbiamo immediatamente un punto in comune.”

Ho amato questo libro fin dalle prime pagine, le storie delle quattro donne si annodano e ti trascinano nel loro intreccio, diventi anche tu, lettrice, loro amica e ti ritrovi a sferruzzare accanto a loro e, così, tra un dritto e un rovescio, sei lì a fare il tifo per le loro conquiste, a soffrire per le loro delusioni, a gioire per i loro successi.

E, alla fine della lettura Lydia vuole lasciare anche a te un dono, un nuovo inizio, un modo per mettere la tua rinascita e ritrovare tra quelle maglie la rinascita sua, quella di Jacqueline, di Carol e di Alix.

L’autrice del libro è Debbie Macomber, autrice di bestseller n.1 del New York Times e una delle scrittrici più popolari oggi, con oltre 200 milioni di copie dei suoi libri stampati in tutto il mondo.

“Il negozio in Blossom Street” è il primo di sei libri della serie:

  • “Dritto e rovescio”
  • “L’anno che cambiò ogni cosa”
  • “Lettere di Natale”
  • “I fiori di Blossom Street”
  • “20 desideri”

…intanto leggi questo, gli altri te li racconterò tutti, quando lo avrai finito.

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com’è nato il racconto Il più Bel Regalo di Natale

Com’è nato il racconto Il più bel Regalo di Natale

 

Questa è la storia di un racconto di Natale che è nato da un incontro magico.

Tre anni fa Scambiamente ha partecipato ad un progetto di Parmakids sul Natale nel mondo. Quando si è trattato di scegliere la Nazione di cui esplorare le tradizioni natalizie, ho chiuso gli occhi ed ho pensato subito alla mia città natale, Taranto, che è stata la culla della Magna Grecia. Mi sono venuti in mente Alessandro e Sofia, i bambini di Gianluca ed Evi (mio cugino e sua moglie, nata e cresciuta ad Atene). Ho aperto gli occhi ed ho pronunciato una parola di sei lettere: Grecia. Sono state le mie radici a compiere la scelta.

Dal giorno successivo mi sono messa in contatto con la comunità greca di Parma che, dovete sapere, è una bellissima realtà di persone dolci, gentili e accoglienti. Ho conosciuto Evelyn, Mary e poi Claudio e Jannis.

Io ed Evelyn ci siamo messe alla ricerca di una favola greca sul Natale, tradotta in italiano, da leggere ai bambini durante l’evento. I risultati delle ricerche bibliografiche ci hanno fatto capire che avevamo un problema: non esistono racconti greci sul Natale tradotti in italiano.

Cos’altro restava da fare?  Creare noi una storia. Ho chiesto ad Evelyn di raccontarmi le loro tradizioni natalizie e dalla sua voce gentile ho appreso i riti della vigilia di Natale in Grecia e cosa sono Kalanda, trigono, i Kalikantzari. Mi ha descritto i piatti tipici e tanto altro.

Il suo racconto orale mi ha ispirata e la storia che ho scritto è frutto di questo incontro tra me ed Evelyn. Mio marito Daniele ha disegnato le illustrazioni. Ricordo quei giorni: la nostra casa si era trasformata in un vero e proprio laboratorio di scrittura e disegno, nostra figlia Andrea Sara ci ha aiutati ed è stato molto bello e divertente.

Tre anni fa abbiamo portato in scena l’evento, il racconto è stato accompagnato dalle musiche di Jannis e dalle canzoni dei bambini della comunità greca: un momento gioioso ed emozionante.

Il 4 dicembre scorso, a distanza di tre anni, lo abbiamo replicato presso Il Laboratorio Aperto di Parma, nel Complesso di San Paolo, in questa occasione non sono riuscita ad essere presente e a leggere il racconto perché ero a casa con l’influenza, ma è come se lo fossi stata.

Ringrazio Federica e Virginia di Parmakids, Claudio, Evelyn, Jannis e tutta la comunità greca per aver riportato in scena “Il più bel regalo di Natale”.

Grazie al Comune di Parma e al Laboratorio Aperto per questa bellissima possibilità e naturalmente grazie a tutti coloro che hanno partecipato.

 

un bel video:

https://fb.watch/hOsgH8fCns

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Inaugurazione “casetta” della Corte dei Miracoli a Parma

Inaugurazione “casetta” della Corte dei Miracoli a Parma

 

Casa. È questa la parola chiave che ha fatto incontrare due associazioni e nascere un legame di amicizia fra loro.

La Corte dei Miracoli è una casa speciale, un luogo di accoglienza in cui vivono venti persone, le quali prima non avevano una dimora. Si trova a Parma in via Toscana.

Quando Scambiamente è venuta a conoscenza della sua esistenza e della sua missione, non ha potuto fare a meno di immaginare una nuova casetta a disposizione di tutti gli ospiti.

“La Corte dei Miracoli è un luogo di gentilezza e di condivisione, gli stessi valori alla base della filosofia delle casette e delle nostre iniziative” dice Simona Perosce, presidente di Scambiamente. “Realtà come questa sono le più affini al progetto che portiamo avanti. Crediamo che il diritto alla lettura sia da salvaguardare e i libri debbano essere alla portata di tutti.”

L’idea è stata accolta con grande gioia dalla Corte dei Miracoli, sulla cui facciata principale c’è un bellissimo murale dipinto dai volontari che raffigura una casa rossa con farfalle in volo. Il disegno ha ispirato l’artigiana del legno reggiana Falegnasia, a cui Scambiamente ha affidato la realizzazione della nuova casetta, consegnata proprio pochi giorni fa.

“Questa iniziativa per i nostri “bambini”, come li chiamiamo noi, è molto importante perché rappresenta uno stimolo ulteriore dato dalla lettura e dell’opportunità di accrescere le relazioni sociali esterne date dallo scambio, fondamentali per la loro rinascita” dice Nadia Buetto, presidente della Corte dei Miracoli.

La casetta è stata inaugurata sabato 19 novembre alle 11,00 presso La Corte dei Miracoli, in via Toscana a Parma: presenti tanti volontari e tanti cittadini, è stato un momento di festa, di gioia e di condivisione, arricchito dalle parole di Nadia e dalle letture di Simona Perosce e di Lisa Melandri.

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“E vissero felici e contenti a fianco ad una casetta per i libri…”

“E vissero felici e contenti a fianco ad una casetta per i libri…”

di Elisa Morandi e Federica Merli

 

“C’era una volta”…mi piace iniziare questo articolo così perché quella che vi racconteremo è proprio la favola di Scambiamente…e allora sedetevi comodi, ascoltate con gli occhi e guardate con le orecchie la storia dell’Associazione SCAMBIAMENTE aps …vi assicuro che il finale non sarà scontato!

C’era una volta, a Traversetolo, SIMONA PEROSCE (presidente di SCAMBIAMENTE ma allora… ancora non sapeva che lo sarebbe diventata…) che, in un fresco pomeriggio di luglio, del 2018, inaugura una casetta di legno per lo scambio libero di libri (in inglese book crossing) e la appende alla ringhiera del condominio dove vive, in via ALCIDE DE GASPERI,11.

L’inaugurazione prevede letture ad alta voce accompagnate dall’incanto e dallo stupore dei bimbi e bimbe presenti ma anche degli adulti … sì perché, si sa, quando leggi una favola il tempo si ferma e gli adulti ritornano bambini.

Quello delle favole, lette ad alta voce, è tempo dedicato all’ascolto, alla fantasia, alla condivisione, al divertimento…un tempo lento, denso di emozioni, pieno di tutto quello che oggi sempre di più si sta perdendo, dimenticando…

 

È un tempo dedicato all’ACCOGLIENZA di tutti, eh sì, proprio di tutti perché, quel pomeriggio, si leggono storie in tutte le lingue del MONDO, in tutti i modi possibili in cui è possibile comunicare: dalla lingua dei segni (LIS) al BRAILLE fino ad arrivare alla CAA (comunicazione aumentativa alternativa)!

Nasce così la casetta numero UNO…il numero cari lettori e lettrici è necessario, perché’ ad oggi più di 50 casette sono nate dalle mani sapienti di nonni e nonne, da artigiani e artigiane del legno, da bambini e bambini, dagli ALPINI, da vicini di casa, da laboratori socio-occupazionali, da associazioni, da CRAL aziendali e, da questa estate, anche dal laboratorio di falegnameria della comunità di BETANIA!

 

Questo è il CONTAGIO che piace alla nostra associazione la cui missione è seminare BELLEZZA, GENTILEZZA, CORAGGIO, AMORE per la lettura.

Le casette sono molto di più che semplici luoghi di scambio di libri: sono luoghi magici perche’ creano dei legami tra persone, luoghi e pensieri così profondi da poter attraversare il mare dell’incertezza con una nave solida, chiamata ENTUSIASMO, con remi resistenti, chiamati IDEE; come áncora, la GENTILEZZA.

Destinazione? INFINITA BELLEZZA.

 

L’ Associazione è formata da un direttivo tutto al femminile, 4 anime, 4 donne visionarie a tratti, folli per altri, SIMONA, ELISA, LISA, FEDERICA. Perché folli? Perché’ non hanno paura di inseguire i loro sogni …e se ne hanno la superano INSIEME.

Insieme tra loro, ma anche attraverso la stima e l’amicizia di TUTTE le realtà incontrate durante la nascita delle casette!

La forza di SCAMBIAMENTE: creare ponti invisibili ma solidi allo stesso tempo.

“Come è possibile? “direte vo, lo è perché’ si creano da Cuore a Cuore.

“L’ESSENZIALE E’ INVISIBILE AGLI OCCHI” cit. IL PICCOLO PRINCIPE di Antoine de SAINT-Exupéry

Non è facile “ABITARE POETICAMENTE IL MONDO” ma tentare tutti i giorni, con passione, entusiasmo, tenacia, ottimismo ne vale SEMPRE la pena! Perché’ quando poi il sogno si realizza diventa la REALTA’ PER TUTTI e non solo per chi lo ha sognato.

Il viaggio insieme alla COMUNITA’ DI BETANIA e’ appena iniziato…l’equipaggio e’ pronto, il vento e’ buono, la direzione? La decideremo INSIEME!

Vi aspettiamo numerosi e numerose all’inaugurazione della casetta che sara’ costruita da BETANIA per la loro comunità!

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Recensione a cura di Federica Merli del libro “Luoghi Comuni”, di Francesca Tamani

“Luoghi comuni” di Francesca Tamani

di Federica Merli

 

“L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”…ecco, ogni tanto dovremmo tutte trovare il coraggio di lasciare che questo messaggio diventi, per un po’, la colonna sonora di certi momenti, e risuoni nelle orecchie di chi ci dà “troppo per scontate, come incolori di un luogo comune”.

Messaggio che si ripeta pure ad ogni chiamata, fino a quando ognuna di noi avrà ritrovato il coraggio di strappare quel post-it con scritto “Torno subito”, promemoria che un giorno abbiamo lasciato a noi stesse quando siamo diventate mogli, madri, lavoratrici, “donne troppo abituate a controllare, gestire, pianificare; donne che non conoscono più il gusto della leggerezza né il piacere dell’evasione.”

E poi, all’improvviso ci ricordiamo di quel post-it rimasto attaccato come promemoria per troppo tempo, dimenticato, nascosto sotto una vita scandita “da programmi e tabelle di marcia da seguire alla lettera”.

Pagina dopo pagina, racconto dopo racconto, Francesca Tamani, nel suo libro “Luoghi comuni” ti accompagna in questo “viaggio nell’universo femminile attraverso luoghi comuni”.

Un viaggio in cui ognuna di noi si riconoscerà in Zoe, Vittoria, Francesca, Giorgia….donne alle prese con la vita di tutti i giorni che “non conoscono più il gusto della leggerezza né il piacere dell’evasione” ma che, proprio all’interno della monotonia di queste vite fatte di giornate tutte uguali, ad un certo punto, trovano la forza di cambiare “di gettare all’aria il cappello, di iniziare a respirare, di lasciare un marito distratto, di scappare da un capufficio opprimente, di chiudere la porta di casa e fare un viaggio completamente sola”.

Storie di donne, storie di resilienza, storie di chi decide che è giunto il momento di chiudere la porta di casa, di fare un viaggio per ritrovare sé stessa smettendo di venire a patti con una realtà troppo stretta…

…”l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”.

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UNA STANZA IN CUI SCOMPARIRE: “ROSA SPINACORTA” DI MARIO FERRAGUTI

Una stanza in cui scomparire: “Rosa spinacorta” di Mario Ferraguti

di Simona Perosce

 

Avevo quattordici anni quando vidi mia zia regalare il suo abito da sposa ad una suora. Mentre lo riponeva nelle mani della religiosa, piangeva. Non riuscivo a comprendere il significato di quel gesto e di quelle lacrime.

“La zia ha fatto un voto e sta donando il suo vestito ai Santi Medici per la grazia ricevuta!” disse mia madre. Eravamo a Oria, nel santuario di San Cosimo alla Macchia, uno tra i più importanti luoghi di culto e di devozione della Puglia, dedicato ai Santi Medici Cosma e Damiano, martiri.

I miei nonni materni mi portavano spesso con loro a visitarlo. Ricordo la chiesa sempre gremita di persone e le due statue lignee dei Santi in fondo alla navata centrale. Il nostro pellegrinaggio non si concludeva mai senza visitare la grande sala esterna, in cui c’erano centinaia di oggetti d’argento raffiguranti parti del corpo umano offerti dai fedeli per le grazie ricevute.

Leggere Rosa spinacorta di Mario Ferraguti mi ha riportata indietro nel tempo, facendomi riaprire quella stanza piena zeppa di ex voto, che esercitava su di me grande meraviglia e mistero. L’ultimo romanzo appena pubblicato dalla casa editrice indipendente Exòrma (nella collana quisiscrivemale) dell’autore parmigiano, che nella sua produzione letteraria precedente ha raccontato con suggestione e realismo un Appennino pervaso dalla magia e da figure mitologiche, si ispira alla storia vera di una delle ultime donne vestitrici mariane. Tecla, orfana allevata e istruita dalle suore in un convento della Bassa, viene scelta quando è ancora una bambina, per vestire la Madonna della rosa spinacorta. L’anziana depositaria e incaricata dell’antico rito della vestizione della statua della regina è la misteriosa donnadischiena che, prima di congedarsi da questo incarico e dalla vita, diventa la sua insegnante e le consegna tutti i segreti per diventare abile e degna di questo compito. Primo fra tutti l’invisibilità: vestire la regina vuol dire trasformarsi in niente, scomparire. Violare questa regola è gravissimo e imperdonabile, la pena è l’inferno, che la donnadischiena conserva in tasca su un foglio di carta spiegazzato.

L’autore ci conduce all’interno del convento, fra i segreti delle suore, lentamente ci fa salire uno ad uno i gradini che giungono in alto sino ad una porta e ci fa entrare nella penombra di una stanza che a Tecla fa paura perché buia e piena di armadi con i corredi femminili, dove dimora la statua della Madonna: un corpo ligneo con un volto dipinto, i cui occhi sono privi della scintilla di vita. Attraverso il racconto in prima persona ci rivela i moti dell’animo della bambina.

“In quella stanza, trampolino per il cielo, non ci riuscivo a entrare; sentivo mille passi, vedevo mille occhi, mille rumori di niente e di nessuno, quel posto era proibito anche a don Sergio. Vestire la Madonna, che è femmina, è un onere e un privilegio riservato alle suore.”

Vestire la regina con abiti fatti di tessuti ed elementi naturali ricercati come gli aculei di istrice, truccarla con i pigmenti, curarla, proteggerla, parlarle, recitarle filastrocche significa donarle la propria vita. Tecla non deve rivelarlo a nessuno, con spirito di devozione deve custodire questo segreto dentro di sé. Cresce e il suo corpo cambia diventando sempre più femminile. Impara che non si devono mostrare le vergogne, perché è peccato e non si deve mai cadere in tentazione.

Il racconto, impressionista nel contenuto, scorre lentamente nella prima parte per diventare  più veloce e dinamico nella seconda, quando la ragazza, superando la paura dell’inferno ed i propri sensi di colpa, si spinge fuori dalla stanza della regina, dal convento, dal paese e dal sistema di regole trasmesse dalle monache, esponendosi alla luce e all’ignoto, abbandonando la penombra familiare e l’atmosfera sommessa in cui è cresciuta. Questa transizione dal dentro al fuori, dall’esplorazione intima di sé a quella del mondo esterno, dalla non esistenza alla consapevolezza della propria presenza nel mondo, avviene a causa di un evento, una frattura da cui scaturisce la vita e la morte. Una celebre frase di Leonard Cohen recita: “C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra luce”. Tecla si mette in viaggio e giunge fino a Gualtieri, dove incontra il pittore Antonio Ligabue, ”il pittore matto o il tedesco”, come tutti lo chiamano, che quella crepa ce l’ha addirittura sulla faccia, da cui è ossessionato.

Non era alto, sembrava quasi calvo, un naso fatto a becco d’aquila e una ferita scura sulla tempia.

Il pittore Ligabue.

Poteva essere solo lui; braghe marroni di fustagno e occhi liquidi, agitati di chi cerca ma impauriti e selvatici, pronti a scappare, rintanarsi”.

La narrazione, non suddivisa in capitoli, si sviluppa come un corpo unico in cui religione, magia, liturgia e misticismo si amalgamano fra di loro nonostante siano agli opposti.

Ci sono altri personaggi ed eventi che abitano le pagine di Rosa spinacorta e si muovono nel racconto seguendo il ritmo della prosa di Mario Ferraguti, dall’inconfondibile stile che unisce   incanto poetico e realismo antropologico. È come se fossero tutti elementi di un quadro il cui soggetto principale è un ritratto femminile in chiaroscuro.

 

Romanzo: Rosa spinacorta

Autore: Mario Ferraguti.

Casa editrice: Exòrma.

Pagine: 175

Euro16,00

 

 

 

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LIBERaVOCE – Festa della Lettura ad Alta Voce

LIBERaVOCE – Festa della Lettura ad Alta Voce

Dal 13 al 22 maggio prende il via a Parma la prima edizione di – : un progetto organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Parma insieme alle altre realtà aderenti al “Patto di Parma per la Lettura” e in collaborazione con numerosi altri soggetti del territorio che operano nel mondo dell’editoria e della promozione culturale.

La manifestazione, dedicata al ricordo di Giuseppe Marchetti, grande critico letterario parmigiano recentemente scomparso, avrà la sua cornice nell’affascinante e non solo!

Per dieci giorni decine di appuntamenti gratuiti aperti a tutti tra incontri con autori, reading poetici, presentazioni di libri, conversazioni, letture sceniche, tavole rotonde e numerose occasioni, tra letture e laboratori, dedicate a bambini e scuole.

In questa occasione SCAMBIAMENTE insieme a PARMA CULTURA DIGITALE ha pensato ad un appuntamento pomeridiano all’interno del bellissimo giardino dell’Associazione Anmic Parma in via STIRONE 4

LUNEDI’ 16 MAGGIO ORE 17:15

“Su tre ruote: casa, amore e fantasia”

Le storie arriveranno con la MAGICABICI dell’Associazione Polisportiva Gioco Parma per incantare grandi e piccini…

raccontate con la voce, il braille, la lingua dei segni e la comunicazione aumentativa alternativa!

Vi aspettiamo numerosi!

Cepdi

Il Semaforo Blu – Libreria per bambini e ragazzi

SP ENS Parma

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Parma

Anmic Parma

PARMA CULTURA DIGITALE

Il programma completo del festival si può consultare su www.biblioteche.comune.parma.it

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