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Il fascino senza tempo di Jane Eyre

Maestre Book Club: il fascino senza tempo di Jane Eyre

Il secondo appuntamento del Maestre Book Club, organizzato dal gruppo di lettura di Scambiamente, Una stanza tutta per sé, si è tenuto domenica 13 aprile al Multiplo di Cavriago, in un’atmosfera raccolta e partecipe, tutta dedicata a uno dei grandi classici della letteratura inglese: Jane Eyre di Charlotte Brontë. A guidare la conversazione, Simona Perosce e Federica Merli dell’associazione Scambiamente, che hanno saputo intrecciare riflessione, ascolto e partecipazione in un dialogo vivo e profondo con i presenti.

Il romanzo è stato esplorato a partire dalla vita della sua autrice: Charlotte Brontë, figura affascinante e complessa, cresciuta nello Yorkshire nell’Ottocento, in un contesto familiare e culturale segnato da rigore, lutti precoci e un fortissimo stimolo alla scrittura. La sua vita e quella delle sue sorelle è stata raccontata recentemente nel libro Tutto questo fuoco, di Angeles Caso. È emerso come molte delle esperienze personali della scrittrice – dalla permanenza in collegi severi, al lavoro come governante, fino alla solitudine e alla tensione spirituale – abbiano trovato espressione proprio nella protagonista del romanzo, la fiera e indipendente Jane.

Il cuore dell’incontro è stato arricchito da letture ad alta voce di brani tratti dal libro, che hanno restituito la forza e la modernità della voce di Jane Eyre, capace ancora oggi di commuovere e far riflettere. A rendere ancor più stimolante il dibattito è stato il richiamo all’analisi critica di Virginia Woolf, che nei suoi celebre saggi Il lettore comune e in Una stanza tutta per sé offre una lettura lucida e appassionata del romanzo. Woolf riconosce a Charlotte Brontë una voce potente, ma evidenzia anche come le limitazioni imposte dal contesto sociale e dal ruolo femminile dell’epoca abbiano condizionato la sua scrittura.

Recensione di Jane Eyre

Pubblicato nel 1847, Jane Eyre è molto più di un romanzo romantico: è un potente racconto di formazione, una storia di autodeterminazione e di ricerca della propria identità. Jane, orfana cresciuta in un ambiente ostile, attraversa una lunga serie di esperienze – educative, lavorative e affettive – che la portano a maturare una visione del mondo lucida e profondamente etica.

La sua storia d’amore con Mr. Rochester è intensa e tormentata, ma sempre filtrata dallo sguardo lucido e indipendente di una donna che rifiuta di sacrificare se stessa pur di amare. Charlotte Brontë dipinge una protagonista fiera, intelligente e appassionata, che rivendica con forza il diritto ad esistere e a scegliere. Una lettura che continua a parlare anche ai lettori e alle lettrici del presente, con una voce che non ha perso vigore.

Prossimo appuntamento

Il Maestre Book Club prosegue il suo viaggio tra le pagine della grande letteratura. Il prossimo incontro sarà dedicato a Via col vento, di Margaret Mirchell, la terza maestra scelta da Carolina Capria, autrice del saggio Maestre edito da Harper Collins, che ha lanciato il Book Club diffuso in tutta Italia dall’omonimo nome.

L’appuntamento sarà l’11 maggio alle 15,00, nell’Atelier del Multiplo di Cavriago.

Maestre
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Jane Austen: Persuasione

Primo incontro di Maestre Book Club: un pomeriggio dedicato a “Persuasione” di Jane Austen

Domenica 16 marzo alle ore 15:00, presso l’Atelier del Multiplo di Cavriago, si è tenuto il primo incontro del Maestre Book Club, un’iniziativa letteraria promossa da Carolina Capria. Tra i gruppi aderenti figura “Una stanza tutta per sé”, il club di lettura dell’associazione Scambiamente. L’evento inaugurale ha visto la partecipazione di appassionati di letteratura, riuniti per discutere “Persuasione” di Jane Austen.​

La discussione è stata moderata da Simona Perosce e Federica Merli di Scambiamente, che hanno guidato i presenti attraverso un’analisi approfondita del romanzo. Il dibattito si è rivelato particolarmente stimolante, con letture ad alta voce di passaggi selezionati, che hanno permesso ai partecipanti di immergersi nelle atmosfere e nelle tematiche del libro.​

Persuasione” è l’ultimo romanzo di Jane Austen, pubblicato postumo nel 1817. La storia segue le vicende di Anne Elliot, una giovane donna di ventisette anni che, otto anni prima, era stata persuasa a rompere il fidanzamento con il capitano Frederick Wentworth a causa della sua mancanza di fortuna e rango sociale. Il romanzo esplora temi come l’amore perduto e ritrovato, le pressioni sociali e l’importanza della seconda occasione.​

A differenza di altre opere di Austen, “Persuasione” si distingue per un tono più maturo e riflessivo. La protagonista, Anne, è ritratta con profondità psicologica, evidenziando la sua resilienza e sensibilità in un contesto sociale che spesso la sottovaluta. La narrazione mette in luce le dinamiche familiari e le convenzioni dell’epoca, offrendo una critica sottile ma incisiva alla superficialità e all’importanza attribuita al rango sociale.​

La scrittura di Austen in questo romanzo è caratterizzata da una prosa elegante e da un’ironia sottile, che rende la lettura coinvolgente e stimolante. Nonostante sia meno noto rispetto a opere come “Orgoglio e pregiudizio”, “Persuasione” offre una prospettiva unica sulla maturità e sulla capacità di resistere alle influenze esterne in nome dell’amore e dell’integrità personale.​

“Persuasione” è un romanzo che merita attenzione per la sua profondità emotiva e per la rappresentazione autentica dei sentimenti umani, confermando Jane Austen come una delle voci più autorevoli della letteratura inglese.​

L’incontro è stato arricchito da un contributo della scrittrice Francesca Tamani che nelle sue riflessioni osserva come la persuasione sia una presenza costante nelle opere di Jane Austen. Non è solo il titolo di un romanzo, ma un meccanismo sottile e pervasivo attraverso cui la società del tempo imponeva regole, modellava comportamenti e, nei casi più estremi, puniva chi sceglieva di ribellarsi. In questo gioco di potere, il femminile veniva associato alla sottomissione, mentre il maschile deteneva diritti e autorità. Tuttavia, un elemento sfuggiva a questa rigida dicotomia: la persuasione stessa. Nessuno ne era immune, né uomini né donne.

Maestre Book Club prevede un ciclo di cinque incontri, ciascuno dedicato a una scrittrice di rilievo e al suo romanzo più rappresentativo. Il prossimo appuntamento è fissato per domenica 13 aprile, sempre alle 15:00 presso l’Atelier del Multiplo, dove si discuterà “Jane Eyre” di Charlotte Brontë. ​

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Maestre – la lettura come passione collettiva: i book club indipendenti

La lettura come passione collettiva: i book club indipendenti

I gruppi di lettura indipendenti sono comunità di lettori che condividono riflessioni, emozioni e idee intorno a un libro scelto collettivamente. A differenza dei circoli organizzati da librerie o biblioteche, questi gruppi nascono spesso dall’iniziativa di singoli appassionati e si sviluppano in autonomia, creando spazi di confronto libero e partecipativo.

La loro storia ha radici lontane: i primi esempi di gruppi di lettura risalgono al XVIII secolo, quando circoli letterari e società di mutuo soccorso promuovevano la diffusione della cultura tra le classi meno abbienti. In Italia, la tradizione si è consolidata nel Novecento grazie all’impegno di biblioteche pubbliche e associazioni culturali. Oggi, con l’avvento dei social network, molti gruppi si organizzano online, ampliando il pubblico e favorendo scambi tra lettori di diverse città e nazioni.

Uno degli aspetti più interessanti di questi incontri è la lettura ad alta voce, una pratica che migliora la comprensione del testo, stimola l’ascolto attivo e rafforza il senso di comunità tra i partecipanti. Studi dimostrano che leggere ad alta voce aiuta a sviluppare l’empatia e il pensiero critico, rendendo l’esperienza letteraria più coinvolgente e profonda.

Tra le iniziative più recenti nel panorama dei gruppi di lettura indipendenti, spicca quella di Scambiamente, che con il suo gruppo di lettura “Una stanza tutta per sé”, in collaborazione con il Centro Culturale Multiplo di Cavriago, ha aderito al BOOK CLUB DIFFUSO ideato da Carolina Capria. Questa iniziativa nasce in occasione della pubblicazione del libro Maestre (uscito il 14 gennaio) e invita i lettori a esplorare il ruolo delle eroine della letteratura attraverso cinque incontri dedicati a cinque autrici e ai loro capolavori.

Gli appuntamenti si terranno all’Atelier del Centro Culturale Multiplo di Cavriago (RE), in via della Repubblica 23, alle ore 15, secondo il seguente calendario:

  • 16 marzo – Persuasione di Jane Austen;
  • 13 aprile – Jane Eyre di Charlotte Brontë;
  • 11 maggio – Via col vento di Margaret Mitchell;
  • 15 giugno – Amatissima di Toni Morrison;
  • Luglio (data da definirsi) – L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

Il Book Club è aperto a coloro che desiderano confrontarsi e lasciarsi ispirare dalle protagoniste di questi grandi romanzi e dalle loro autrici.

Si tratta di un’occasione preziosa per riscoprire la letteratura come strumento di crescita, scambio e ispirazione, all’interno di una comunità che condivide la passione per i libri.

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la Biblioteca di Vigatto

LA BIBLIOTECA SAN GIOVANNI BOSCO DI VIGATTO: SCRIGNO DI LIBRI E OPERE LETTERARIE…E TANTO ALTRO

La magia di certi incontri è potente e bellissima! Scambiamente ha incontrato tante persone speciali in questi sette anni di vita, alcune delle quali sono diventate volontarie dell’associazione. Una di queste è Mila che con le sue bellissime letture ad alta voce anima spesso i nostri eventi, per la gioia di grandi e piccini. Mila è impegnata attivamente in un’altra realtà vicina al nostro territorio e che è diventata amica di Scambiamente: la Biblioteca San Giovanni Bosco di Vigatto, è la coordinatrice infatti dello staff del Papiro che ha in gestione la biblioteca. Ecco la sua storia. Buona lettura!

2015-2025

Lo Staff “ILPapiro”, con il concerto “Parole e Voci: intreccio di bellezza”, tenutosi nella chiesa di Vigatto il 12 gennaio, ha iniziato i festeggiamenti per il decimo anniversario della Biblioteca “San Giovanni Bosco”.

Un sogno si realizza: come?

2015:” Bricocenter” indice il concorso “Insieme per il quartiere.”

Grazie alla partecipazione voluta da Don Crispino e dai Consiglieri di Quartiere, Mainardi Stefano, Oscar Pioli e Salzano Cristian, si vincono mille euro con gli arredi necessari. Tutto ciò è la spinta necessaria per trasformare un piccolo ex fienile, in uno spazio colorato, luminoso, accogliente che diventa Biblioteca…la realizzazione di un sogno!!!!

E’ l’esito di un’opera corale per l’impegno profuso da tante persone (non solo dagli addetti ai lavori), alcune di loro, oggi, non più giovanissime.

Nasce anche il gruppo dei volontari “Il Papiro”, l’anima di questo luogo.

La parola BIBLIOTECA ha un significato particolare; l’etimologia ci consegna un’immagine preziosa” scrigno di libri e opere letterarie”; attraverso i libri l ‘Umanità si svela!

La nostra biblioteca, dal punto di vista strutturale è piccola, ma “affollata” per tutti gli incontri promossi e” vivace” per le numerose iniziative proposte.

Non è solo luogo di deposito e scambio di libri, ma luogo per informarsi. produrre e generare conoscenze.

La sua presenza, accanto ad altre realtà attive in parrocchia, è tassello e motore di una comunità, perché è scambio culturale e luogo di socialità condivisa.

In linea con il passato, le linee guida della programmazione, riguardano diversi percorsi, quali:

  • LA MAGIA DELLE STORIE. In collaborazione con “Le Voci delle Formiche”, “Le Bibliovoci “e “Scambiamente”, si attivano laboratori di letture ad alta voce per l’infanzia e anche per le classi della scuola primaria, per diffondere il piacere e la passione della lettura di testi italiani, stranieri, anche in lingue diverse.
  • LA MAGIA DELLE MANI: per valorizzare la creatività di manufatti artistici per i mercatini di Natale e Pasqua, con corsi di uncinetto.
  • LA MAGIA DELL’ARTE: con il progetto ”Da Vicus Catuli a Vigatto”. In collaborazione con il gruppo” I Mambruconi” (un gruppo di appassionati d’arte), si sono organizzati due eventi per “dare voce” al patrimonio artistico di quadri e oggetti sacri presenti nella nostra Chiesa, con la guida dell’esperta Eles Iotti
  • TEATRO, CHE PASSIONE, per diffondere negli adolescenti e poi negli adulti la gioia di fare teatro con la preziosa guida dell’attrice Franca Tragni. In questi anni, si è costituita la compagnia “I Minolli del Campanile “, un gruppo di quindici persone, attualmente impegnato nel laboratorio artistico, il cui esito verrà presentato a maggio al teatro Magliani di Corcagnano
  • LE CHIACCHIERE CHE FANNOSTAR BENE, incontri con Formatori
  • INCONTRO CON AUTORI, per presentare le loro produzioni letterarie e poetiche.

Questa realtà vive per la forza del Volontariato: ogni persona continua a regalare il proprio tempo, con il suo pensare, fare e condividere in una circolarità che fa bene a chi dona e a chi riceve. A ciascuno di loro desideriamo rivolgere un grazie sincero, perché la biblioteca, senza il dono del” tempo individuale” non potrebbe continuare a esistere.

La Biblioteca, come qualsiasi biblioteca è uno Scrigno in cui si coltiva la Bellezza delle Parole, dell’Agire e dell’Incontro. La bellezza è un’esigenza, abita le nostre anime, è la colonna sonora della vita e come tale va difesa, coltivata e condivisa, perché, siamo convinti che” La Bellezza salverà il mondo”, come affermava lo scrittore Fedor Dostoevskij!

Mila Scarmiglia, coordinatrice Staff “Il Papiro”, formato da Beatrice Baraldi,Fausta Bertolotti, Barbara Bianchi,  Pierina Bonimelli, Daniela Malanca, Patty Remondini,  Lorena Scaffardi e Don Crispino.

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2 novembre: quando il ricordo diventa rito

2 novembre: quando il ricordo diventa rito

di Francesca Biavardi

 

Il 2 novembre non è semplicemente una data sul calendario. È un momento di connessione profonda tra il mondo dei vivi e quello dei defunti, un ponte fatto di memoria, rispetto e amore.

Il giorno di Commemorazione dei Defunti è un rito collettivo che attraversa culture e generazioni, un momento in cui la comunità si riunisce per onorare coloro che non sono più fisicamente con noi.

Ho scoperto che ci sono usi particolari per ricordare i defunti a seconda del luogo geografico in cui si vive:
– in Lombardia tra la notte del 1 e del 2 novembre viene posto in cucina un vaso di acqua per far dissetare i morti
– in Friuli viene lasciato un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane
– in Piemonte viene lasciata la tavola apparecchiata e il focolare acceso mentre vengono fatte suonare le campane per richiamare i morti
– in Abruzzo si lasciano tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care passate oltre la soglia
– in Sicilia la tradizione coinvolge i bambini che, se hanno fatto i buoni, riceveranno doni dai morti che troveranno nascosti sotto il letto

Dietro questi riti c’è qualcosa di più profondo: il bisogno umano di elaborare il distacco, di mantenere una connessione con chi non c’è più.

Il mio personale viaggio nel lutto
Per la mia famiglia, nel Giorno dei Morti, si andava tutti insieme a pregare sulle tombe dei nostri cari. Da bambina lo chiamavo il CimiTour perché dovevamo fare visita in poco tempo a tanti cimiteri, rispettando gli orari delle funzioni. Era una corsa contro il tempo emozionante. Era poi una di quelle poche occasioni in cui ci si ritrovava con amici e parenti che non si vedevano da tempo.

Oggi, da adulta e dopo aver vissuto la morte improvvisa di Anna, mia nipote, ho cambiato modo di vivere questa giornata: non amo più fare le corse ai cimiteri, ma visitarli con calma, soffermandomi sui miei cari, ma anche su chi è sepolto nello stesso luogo.
Con mio figlio, abbiamo scoperto tombe che accolgono le spoglie di persone vissute nel 1800. Non le avevamo mai notate nella fretta delle visite degli anni scorsi. Ci siamo presi il tempo di osservarne le foto, di decifrare i nomi ormai consumati, incisi sulla lapide, di leggere un elogio funebre sbiadito, di osservare le sculture poste a decorazione di quelle lapidi.

Ci siamo presi il tempo di osservare chi c’era intorno ai nostri cari, di immaginare chi potessero essere quelle persone e, a modo nostro, di tenerne vivo il loro ricordo.
Siamo sempre tanto travolti dal fare, che ci dimentichiamo di soffermarci a osservare.

Si, anche mio figlio Simone viene a fare visita ai cimiteri. Ho scelto di coinvolgerlo sempre quando si parla di lutto, 6 anni fa, quando è morta mia nipote, sua cugina.
Il mio modo di vivere il Giorno dei Morti è cambiato il 21 Ottobre 2018, quando mia nipote Anna muore in un incidente stradale.
Io, maniaca del controllo, non avevo previsto di poter vivere un evento del genere e disperazione, rabbia, senso di colpa, impotenza, si sono accomodate in me in modo prepotente, senza tanti convenevoli.  Mi sentivo paralizzata, incredula, incapace di capire perchè a lei e non a me. Aveva 16 anni, una vita davanti ricca di esperienze, lotte per i suoi ideali, passioni, errori e scoperte.

La mia convinzione “Si muore da vecchi” era stata completamente stravolta.
Sono andata in frantumi. Quello che stavo vivendo era innaturale e inaccettabile.

In più vivevo con l’assoluta determinazione a voler proteggere mio figlio da tutto quel dolore: Simone aveva 5 anni…

E’ stato un periodo buio nel quale alternavo momenti in cui ero fredda e distaccata, ad altri in cui ero persa, disorientata, incapace di capire se ero più arrabbiata, disperata o disarmata.

Il valore più grande di quei giorni sono state le persone, conosciute o sconosciute, vicine o lontane, presenti o assenti nella mia vita, TUTTE, insieme, hanno circondato me e la mia famiglia di un affetto forte, saldo che ci ha permesso di sopravvivere.

A distanza di un anno da quella tragedia, ho capito che volevo contribuire a togliere quel velo di tabù che ricopre il tema del lutto; volevo aiutare le persone a confrontarsi e piangere il loro dolore senza pudore e a sentirsi più pronte nell’affrontare questo argomento con i bambini.

Ho iniziato così a studiare, approfondire e a occuparmi di Death Education. Volevo parlare di lutto perché se facciamo amicizia con la nostra finitezza e ci confrontiamo su quello che questa consapevolezza genera in mente e cuore, saremo capaci di vivere ogni sfumatura della vita, bianca o nera, ombrosa o lucente, cupa o colorata.

Se sono qui oggi a parlarti di lutto è grazie ad Anna che mi ha insegnato che è importante Educare alla morte per imparare la vita.

No, non è facile, ma ho un debito con mia nipote: io sono qui e ho il dovere di onorare la vita e di sostenere chi non ha ancora fatto amicizia con il dolore della perdita, con il vuoto che lascia chi se ne va.

Voglio essere un modello di dialogo aperto e sincero sul tema della morte. Osservando me, mio figlio comprenderà che possiamo parlare anche di un tema così difficile e sarà più propenso a confrontarsi su quello che prova. Ecco perché viene nei cimiteri. Scabroso? No, semplicemente un bagno di realtà!
La morte ci spaventa perché è definitiva, ma quello che voglio insegnare a Simone è che se coltiviamo il ricordo, tramandiamo i nostri valori e le nostre tradizioni, non moriremo mai veramente.
Penso sia importante avere un luogo fisico nel quale ritrovare chi abbiamo amato e non c’è più e vivere questi luoghi con i nostri figli, per lasciargli in eredità quei piccoli riti che gli permetteranno di colmare un poco il senso di mancanza che sentiranno quando non ci saremo più nel corpo.
Credo poi fondamentale che il ricordo venga coltivato nella quotidianità, nei piccoli gesti e pensieri che ci accompagnano durante le nostre giornate.

Le storie come ponte tra dolore e guarigione
Nel mio percorso di elaborazione del lutto, ho scoperto che non solo i luoghi fisici, ma anche le storie possono diventare ponti preziosi tra noi e chi non c’è più. I libri, in particolare, possono trasformarsi in spazi sicuri dove esplorare il nostro dolore, trovare conforto e dare voce a emozioni che spesso sembrano inesprimibili.

Con mio figlio, proprio come esploriamo le storie nascoste nelle lapidi del cimitero, abbiamo iniziato a esplorare storie scritte nelle pagine dei libri. Storie che parlano di perdita, di amore che supera il tempo, di ricordi che diventano tesori. Ci siamo presi il tempo di leggere insieme, di fermarci sulle parole che ci toccavano il cuore, di parlare di ciò che quelle parole smuovevano dentro di noi.

Il potere curativo delle parole
Le parole possono diventare piccole luci di speranza. A volte sono parole di altri che hanno attraversato lo stesso dolore che ho vissuto io, altre volte sono storie di personaggi tra le pagine, che vivono perdite simili alla mia. Ogni pagina letta diventa uno specchio dove riconoscere il proprio dolore e, allo stesso tempo, intravedere la possibilità di andare avanti.

Ecco perché ho scelto di utilizzare i libri come strumenti di trasformazione del forte dolore legato alla perdita, all’interno dei miei percorsi di Libroterapia per adulti e nei laboratori per bambini.
Ed è per lo stesso motivo che ti suggerisco nel mio sito e nel mio Podcast titoli di libri utili ad affrontare il tema del lutto da un nuovo punto di vista, a trasportarti verso il cambiamento e la conoscenza di te, del tuo dolore dolore, ma anche dei valori e degli strumenti che possiedi e che ti aiutano a tornare a sperare dopo un lutto.
Le storie ci permettono di:
– affrontare il tema della morte in modo delicato ma onesto anche con i bambini
– dare un nome alle emozioni difficili
– trovare conforto nelle esperienze di altri
– creare momenti di dialogo sicuri e protetti
– mantenere viva la memoria di chi non c’è più
– creare spazi di dialogo sicuri con i nostri bambini
– trovare parole quando le nostre sembrano insufficienti
– costruire ponti tra il mondo del “prima” e del “dopo”
Il 2 novembre è un invito a celebrare le storie, le vite, i legami che continuano a vivere attraverso il nostro ricordo. E attraverso le parole che scegliamo di leggere e condividere.

“Ricordare è un atto d’amore che tiene viva l’essenza di chi abbiamo amato, e le storie sono il ponte che ci permette di attraversare il fiume del dolore, un passo alla volta.”

Francesca Biavardi
il mio sito: www.francescabiavardi.it
mi trovi anche su IG e FB come francesca.biavardi
il mio Podcast: Luttoh – Educare alla morte per imparare la vita

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Passaggio in ombra

Passaggio in ombra

di Maria Teresa Di Lascia

di Simona Perosce

 

“Nella casa dove sono rimasta, dopo che tutti se ne sono andati e finalmente si è fatto silenzio, mi trascino pigra e impolverata con i miei vecchi vestiti addosso, e le scatole arrampicate sui muri scoppiano di pezze prese nei mercatini sudati del venerdì. Ormai sono libera di non prenderne neanche uno, e ho tutta la mattina per stare in mezzo alle baracche a rovistare a piene mani, fra stoffe colorate e sporche che qualcuno, per sempre sconosciuto, ha indossato tanto tempo fa”.

Così inizia “Passaggio in ombra”, libro pubblicato da Feltrinelli nel 1995, vincitore del premio Strega nello stesso anno. L’autrice, Mariateresa Di Lascia, politica del partito radicale, attivista e giornalista scomparve pochi mesi prima, nel settembre 1994, a soli quarant’anni: il secondo caso di vittoria postuma dall’istituzione dello Strega nel 1947. Era già successo nel 1959 con “Il gattopardo”, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 2023 è accaduto con “Come d’aria” (Elliot) di Ada D’Adamo, scomparsa due giorni dopo essere entrata nella dozzina della LXXVII edizione del più ambito riconoscimento letterario italiano.

Siamo nel secondo dopoguerra, la storia ambientata a Rocchetta Sant’Antonio (Foggia), paesino dell’Appennino Dauno che ha dato i natali alla scrittrice, racconta le vicende della protagonista, che è la voce narrante, Chiara D’Auria (alter ego di Mariateresa) e della sua famiglia di origine. La narrazione, dal ritmo lento e pacato, come lente sono le giornate che scandiscono le vite degli abitanti di Rocchetta Sant’Antonio, scorre con uno stile intimo, riflessivo, introspettivo. La scrittura di Mariateresa Di Lascia è semplice, intensa e delicata in questo romanzo di formazione che è anche un racconto corale: attraverso la voce di Chiara ascoltiamo il canto di un’intera comunità con i suoi personaggi rumorosi e prepotenti come Tripoli, decisi e fieri come donna Peppina Curatore, indolenti e affettuosi come Giuppina. Le chiacchiere di paese non risparmiano nessuno, neanche Anita, madre di Chiara, l’ostetrica venuta da fuori che tutti chiamano la “mammana”. La bella Anita, con la sua rigorosa discrezione, il suo pudore, l’altruismo, l’amore per la figlia ed il coraggio incarna i tratti luminosi e struggenti dell’eroina. Francesco D’Auria, il padre di Chiara, è luce e ombra per lei.

“Quando aveva pensato a cosa sarebbe stata la sua vita, a quale forma si sarebbe piegata ad avere, se mai ne avesse avuta una, aveva sentito qualcosa ribellarsi dentro sé, come per una insopportabile imposizione. Allora aveva avuto un solo desiderio: conservare il più a lungo possibile, forse per sempre, la libertà di non avere nessuna forma.”

Il mio incontro con Mariateresa Di Lascia è tardivo, l’ho scoperta poco tempo fa grazie ad un libro che citandola al suo interno ha sollecitato la mia curiosità, “In Puglia”, scritto da Piero Meli, pubblicato da Giulio Perrone editore (collana Passaggi di dogana). Il capitolo su Rocchetta sant’Antonio racconta l’incontro casuale dell’autore con il romanzo che meritò lo Strega nel ‘95.

“Mi porteranno via, per queste strette scale dei palazzi moderni, e avranno un gran da fare per svuotare tutto il ciarpame che è stato la mia vita.”

Mariateresa Di Lascia ha dedicato i suoi ultimi anni di vita, oltre all’attività politica e alle battaglie civili, alla scrittura di questo romanzo in cui ha messo tutta sé stessa, tanto che leggendolo si ha la sensazione che si tratti della sua autobiografia. Il libro è diviso in due parti, “L’audacia” e “Il silenzio” ed è proprio quest’ultimo l’approdo atteso dalla protagonista per placare il caos, il suo atto di ribellione al rumore assordante, alle molteplici voci del Meridione in cui è cresciuta. Il silenzio è ricerca artistica in Mariateresa, che prima di congedarsi dalla vita ha lasciato come contributo al patrimonio letterario italiano, la voce solitaria di Chiara D’Auria che racconta con disarmante bellezza il suo passaggio in ombra.

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La Magia della Stanza

La magia della stanza

di Simona Perosce

 

“Eravamo quattro amici al bar

che volevano cambiare il mondo.”

canta Gino Paoli in una delle sue canzoni più famose.

In una fredda serata d’inverno inoltrato (era febbraio) anche io, Lisa, Elisa e Federica eravamo intorno ad un tavolo a condividere una cena e a raccontarci storie vecchie e nuove, progetti in corso e da sviluppare. Se, come un detto recita, “la fame vien mangiando”, anche le idee nascono parlando e le nostre conversazioni, si sa, per lo più gravitano intorno ai libri, letti, da leggere, da divulgare, da scambiare, da raccontare. Anche quella sera una parola tirava l’altra e un’idea pronunciata quasi per caso nel flusso del nostro discorrere, si trasformava velocemente in qualcosa di più e ci incoraggiava a proseguire per darle forma.

Da quella scintilla accesa durante una cena tra amiche, (chiamiamola pure alchimia) in una uggiosa serata invernale, nasce Una stanza tutta per sé, il gruppo di lettura di Scambiamente. Abbiamo scelto questo nome traendo ispirazione dall’omonimo saggio di Virginia Woolf, considerato il suo manifesto femminista.

“Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé.”

(Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf).

 

È il nostro omaggio alla scrittrice. Questo libro fa parte della nostra storia grazie all’incontro con Patrizia Fratus che, con la sua opera visionaria e originale Virginia per tutte (scoprila visitando il sito www.virginiapertutte.it), alla cui realizzazione anche Scambiamente ha partecipato, ci ha regalato l’occasione per leggerlo (o rileggerlo).

“Che cosa significa la realtà? Sembra essere qualcosa di molto impreciso, che ora si può trovare in una strada polverosa, ora in un pezzo di carta sul marciapiede, ora in un narciso al sole. Illumina un gruppo in una stanza e incide una parola che è stata detta a caso. Ci sopraffà mentre torniamo a casa, camminando sotto le stelle, e fa sì che il mondo silenzioso diventi più reale di quanto non sia il mondo delle parole.”

(Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf).

 

Ci piace vivere Scambiamente come un laboratorio permanente, un contenitore di idee con lo scopo principale di promuovere la lettura, rendendola una pratica diffusa.

L’obiettivo di questo nuovo progetto letterario in divenire è coltivare relazioni di amicizia con leggerezza, condividendo libri, pensieri, idee.

La sede degli incontri è: ovunque! Il gruppo non ha fissa dimora. È itinerante. Ogni volta si sceglie un luogo diverso. Siamo noi a creare la stanza o meglio, la stanza siamo noi!

Il gruppo è aperto a chiunque abbia un’età dai 18 anni in su e nutra la passione per la lettura. La partecipazione è gratuita.

Gli incontri hanno cadenza mensile. Per favorire la partecipazione attiva e la diversità nelle scelte dei libri, abbiamo adottato un sistema di rotazione della leadership. In tal modo ogni partecipante è incoraggiata/o a guidare la discussione in almeno un incontro durante l’anno.

Il gruppo è dinamico: temi, titoli, generi letterari, autori, case editrici, filoni o altri criteri sono proposti di volta in volta per garantire una varietà di esperienze di lettura, andando a toccare nel tempo i diversi rami della letteratura, nel rigoroso rispetto dei dieci diritti del lettore elencati da Daniel Pennac (tratti dal libro Come un romanzo):

  1. Il diritto di non leggere
  2. Il diritto di saltare le pagine
  3. Il diritto di non finire il libro
  4. Il diritto di rileggere.
  5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa
  6. Il diritto al bovarismo
  7. Il diritto di leggere ovunque
  8. Il diritto di spizzicare
  9. Il diritto di leggere ad alta voce
  10. Il diritto di tacere

Da marzo ad oggi il gruppo si è riunito tre volte. Lo scorso mese abbiamo sperimentato per la prima volta un incontro en plein air.

 

Perché partecipare? Perché è magico e divertente creare insieme la stanza, si scoprono nuovi libri, nuovi autori ed è come stare intorno ad un fuoco a raccontarsi storie. Del resto, tutti noi cos’altro siamo se non storie?

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Babysitter

Babysitter

di Joyce Carol Oates

recensione a cura di Simona Perosce

 

“Perchè lui l’aveva toccata. Solo il polso.

Un fruscio delle dita. Uno sguardo obliquo.

Perché lui le aveva chiesto Quale sei tu? Intendendo La moglie di chi?

Perché era un’epoca e un posto in cui, per essere una donna (o almeno, una donna del suo aspetto) – dovevi essere la moglie di un uomo.”

Non è l’incipit di Anna Karenina e neanche quello di Madame Bovary. L’ elegante ed attraente donna che si lascia toccare il polso da un misterioso sconosciuto durante una cena benefica è Hannah, protagonista femminile di Babysitter, l’ultima fatica letteraria di Joyce Carol Oates, pubblicata in Italia dalla casa editrice La nave di Teseo.

Siamo a Detroit, in Michigan, la celebre “Motor city” nordamericana, tra il 1976 e il 1977. Hannah è una casalinga di trentanove anni, moglie di Wes Jarrett, un ricco uomo d’affari con cui ha due bellissimi figli, Conor e Katya, accuditi dalla governante filippina Ismealda. Una famiglia perfetta da sfoggiare come una bella collana di perle al collo di una donna aristocratica. I Jarrett sono una delle tante famiglie bianche che vivono a Far Hills, quartiere residenziale della ricca borghesia di Detroit, la cui quiete è sconvolta da una serie di terribili omicidi di ragazzini tra i dieci e i dodici anni, rapiti e uccisi dopo aver subito sevizie e torture ad opera di un serial killer. La stampa lo ha ribattezzato Babysitter a causa della cura con cui ripone, abbandonandoli in luoghi pubblici, i corpi nudi e senza vita delle sue vittime, accanto ai quali dispone gli abiti indossati dai piccoli prima di morire, scrupolosamente lavati e stirati. Intorno a questo terribile fatto di cronaca nera, irrisolto nella vita reale, Joyce Carol Oates costruisce un romanzo ricco di suspence dalle tinte noir che tiene incollati alle sue pagine dall’inizio alla fine ed è una lenta discesa negli abissi più profondi e torbidi della società americana e dell’animo umano. “Non è oro tutto ciò che luccica” recita un detto e sembra quasi di sentirselo sussurrare all’orecchio, leggendo i brani in cui l’autrice ci mostra le eleganti ville in cui vivono le benestanti famiglie rigorosamente patriarcali residenti a Far Hills, gli abiti firmati di fattura pregiata che le mogli annoiate dei ricchi uomini d’affari sfoggiano e le conversazioni piatte in cui si intrattengono. Hannah, una indolente Emma Bovary degli anni settanta, è una di loro e possiamo seguirne tutti i moti interiori che ne determinano le azioni adulterine, come l’attrazione irresistibile che prova per il misterioso YK dal momento in cui lui con la sua mano le afferra il polso. Da quell’istante prende le mosse una relazione in cui l’uomo la domina ed esercita su di lei la più feroce forma di possesso psicologico e sessuale. Dominio, seppur in forma diversa, che YK ha anche su Mickey, giovane disadattato cresciuto in un istituto di accoglienza ecclesiastico, al quale impartisce ordini in modo freddo, autoritario e senza spazi di replica. Tristezza e solitudine spingono entrambi ad evadere dalle loro vite fino a stordirsi. Questi stati d’animo affondano le radici nel loro passato e i mostri di allora si ripresentano oggi popolando i loro incubi.

“Siete voi gli artefici della vostra fortuna. Non vi viene mica servita in un piatto d’argento, figlioli. Papà Pagliaccio ride, fa l’occhiolino. La sua voce una carezza raggelante come il ghiaccio che si scioglie in un rivolo dentro i tuoi abiti, dove nessuno può vedere” (Hannah).

“Figliolo, sei al sicuro qui. Sei al sicuro con me.” (Padre McKenzie a Mickey).

La manipolazione della fragilità, vera protagonista del romanzo, sedimentata in una cultura sessista e razzista, è il filo rosso che unisce lo spietato YK alla donna e al ragazzo. Le vicende si dipanano con una crescente tensione psicologica che attanaglia le menti e le vite di Hannah e di Mickey, passando dalla depressione all’angoscia, dall’eccitazione euforica al terrore, dallo smarrimento alla ribellione. È una danza a tre in una sala da ballo vuota, o forse piena di sguardi indifferenti come quello di Wes verso sua moglie, più attento a proteggere il proprio ruolo maschile di patriarca della famiglia, la classe sociale alla quale appartiene e a mantenere alto l’odio razziale per i neri; sguardi deviati e omicidi come quello di Babysitter o omertosi e complici come quello di padre McKenzie.

“C’è solo una domanda: di che cosa sono capace?”

A porsela è Hannah? YK? Mickey? O forse è colei che ha tessuto le trame di questa storia?

È una Joyce Carol Oates in ottima forma quella che ci rivela ancora una volta le ombre della società americana, con uno sguardo lucido che non risparmia i particolari più scabrosi e lo fa  con una narrazione magnificamente unpolitically correct.

 

Romanzo: Babysitter

Autrice: Joyce Carol Oates

Casa Editrice: La nave di Teseo

Pagine: 529

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La lepre e la luna

La lepre e la luna

di Mario Ferraguti

recensione a cura di Simona Perosce

 

I librai itineranti di Parana, Mulazzo e Montereggio hanno compiuto un miracolo. Vendere libri, da analfabeti, a pastori e contadini analfabeti solo col fascino e la potenza della parola. Utilizzare il racconto, la cultura orale, per approdare, in modo inconsapevole, al testo scritto, alla letteratura colta come antichi demoni traghettatori capaci di frequentare mondi differenti ma con l’inconsapevolezza fragile dell’istrione più che con la sicurezza della divinità. Chissà come sarà cominciato tutto, chi sarà stato il primo.”

Un viaggio quello che Mario Ferraguti, zaino in spalla ed un quaderno degli appunti al suo interno come unico bagaglio, compie e ci racconta ne La lepre e la luna, il suo ultimo romanzo pubblicato dalla casa editrice indipendente Exòrma, nel mondo misterioso e magico delle guaritrici d’Appennino, per conoscere la pratica della “segnatura”.

Mentre viaggio mi vorrei fermare in ogni paese, a ogni gruppo di case per chiedere.”

Il racconto si srotola come il filo di un gomitolo che l’autore non può fare a meno di inseguire, arrivando nei paesini di montagna più remoti, nelle umili dimore delle donne che curano i mali segnandoli, ascoltando le loro storie, fra gli utensili delle loro cucine riscaldate solo dalle stufe in cui arde la legna che, può capitare, i malati recatisi lì per essere curati, portino loro in dono.

“Inizio a intravedere un mondo, la sua trama nascosta, le ultime testimonianze preziose di un modo di usare le parole e prendersi cura che implica un altro rapporto con l’intero universo; con gli uomini, i mali, le forze e le cose.”

Quella che Ferraguti esplora è una terra di mezzo fatta di formule e riti antichi, potenti, a metà tra religione e magia, che si ripetono tre volte al tramonto e si tramandano oralmente di donna in donna, invocando i santi e incantando i mali per convincerli a tornarsene da dove sono arrivati, come se si trattasse di forestieri, ospiti sgraditi da accompagnare fuori dal corpo che abitiamo, ponendo attenzione a non offenderli né indispettirli.

“Chi sa fare sa anche disfare”. L’abilità più importante di queste donne è saper percepire, capire, riuscire a leggere la trama dei fili che legano tutto l’universo e laddove ci sono nodi, scioglierli, con ritualità, restando in costante connessione con la natura, con tutte le sue creature e i suoi elementi. La segnatura ha due facce, è una benedizione ed una maledizione per chi la riceve in dono, è la virtù che consente di curare chi soffre ma è anche una condanna, perché obbliga ad essere in perpetuo contatto con il dolore. Giunge da lontano, da un sapere femminile antico, come pratica di intermediazione tra due dimensioni che fa uso di gesti e di parole da custodire, da preservare nella memoria e da tramandare, lasciare in eredità, parole preziose bisbigliate tra i denti che scorrono libere come acqua e lavano, guariscono, si prendono cura di chi soffre, a differenza della medicina moderna che le deforma, le complica, le rarefà fino a farle scomparire, smarrire, diventando un fiume ormai asciutto, sulle cui sponde non ci si può fermare neanche più a piangere perché non c’è tempo. La lentezza ormai è un ritmo che in città non esiste più, lo troviamo solo sui monti, finché resiste, tra uomini e donne le cui vite sono scandite dal sorgere e dal calare del sole, dalle fasi lunari e che conoscono il significato, l’essenza più profonda della parola cura.

Mario Ferraguti, autore prolifico, esploratore e conoscitore dell’Appennino tosco-emiliano, è il depositario delle storie delle guaritrici di quei luoghi, donne anziane che gli hanno rivelato i propri segreti, mostrandogli ciò che non si spiega, ma che si fa e basta, e lui ce le racconta in un libro che ha la profondità documentaristica dell’ indagine antropologica (tra le pagine troviamo fotografie e citazioni delle formule originali) e la bellezza e il fascino letterario del diario di viaggio.

 

Libro: La lepre e la luna – Sulle tracce delle guaritrici d’Appennino

Autore: Mario Ferraguti

Casa editrice: Exòrma

Pagine: 230

Euro 16,50

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Oliva Denaro

Oliva Denaro

di Viola Ardone

recensione a cura di Federica Merli

 

Al posto delle tabelline e dei verbi irregolari avrebbero dovuto insegnarci a dire di no, tanto il sì le femmine lo imparano dalla nascita

Siamo nel 1960, in un paesino della Sicilia, Marturana, Oliva è una giovane ragazza di appena quindici anni, sogna di diventare, un giorno, una maestra.

Oliva ha un fratello gemello, Cosimo, e una sorella più grande, andata già in sposa; ha un rapporto conflittuale con la madre, una donna dura, che detta regole, che le ha sempre insegnato che “la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia”. E poi c’è suo padre, un uomo dolce, silenzioso, mite, con il quale Oliva ha un rapporto di intima comprensione, di tacita complicità.

Oliva diviene presto oggetto di desiderio e di possesso del figlio del boss del paese, un ragazzo  che  la vuole a tutti i costi, potrebbe avere tutte le ragazze del paese, ma vuole proprio lei…e se la va a prendere. La fa rapire, la violenta, e pretende, così, il matrimonio riparatore.

Oliva, che viene additata come la svergognata perchè ha perso la verginità, trova  però, il coraggio di opporsi a quel matrimonio riparatore e decide di denunciare quella violenza sessuale…decide di dire no, decide di scegliere.

In una società e in un ambiente in cui  la vittima di uno stupro è più colpevole del suo stupratore, sarà proprio il padre di Oliva, quell’uomo taciturno, mite, silenzioso,ad ignorare i luoghi comuni di quella mentalità,è proprio lui, uomo e padre, a sostenere la scelta e la decisione della figlia, “Questo faccio io, se tu inciampi, io ti sorreggo”.

E’ proprio la posizione del padre a far cambiare anche l’atteggiamento della madre di Oliva, lei, sempre così dura e rigida con la figlia, finalmente  comprende la tragedia che ha vissuto la sua bambina.

 

C’è la denuncia, il processo, l’umiliazione di dover provare la propria innocenza di donna violata  e assistere ad una condanna ad una pena mite.

Perché per noi è difficile? Perché abbiamo bisogno di battaglie, di petizioni, di manifestazioni? Di bruciare reggiseni, di mostrare le mutande, di implorare di essere credute, di controllare la misura delle gonne, il colore del rossetto, la larghezza dei sorrisi, l’impellenza dei desideri? Che colpa ne ho io, se sono nata femmina?”

Oliva riprende gli studi, va dritta per la sua strada, realizza il suo sogno, diventa insegnante e rimane a vivere nel suo paese… perché lei non ha nulla di cui vergognarsi!

C’è una storia vera nella storia di Oliva: Oliva rende omaggio a Franca Viola, la ragazzina di Alcamo che nel 1965 non aveva voluto sposare il boss del suo paese, nonostante il sequestro e le violenze subite. Tutto era legalizzato da norme che sono state abrogate solo nel 1981.

Il matrimonio riparatore era previsto nel Codice Penale del nostro ordinamento giudiziario ed era regolamentato dall’art. 544

Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo e, e vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.

Franca Viola, nel 1965, in Tribunale pronunciava queste parole: 

“Io non sono proprietà di nessuno, l’onore lo perde chi fa certe cose e non chi le subisce”

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